Gli effetti del land grabbing nella Repubblica del Congo. L'impegno di chi sta cercando di arginare il fenomeno

S’intitola “Terra bruciata” ed è on-line dall’8 febbraio scorso. È il documentario prodotto da Terranuova Onlus nell’ambito della campagna EuropAfrica, dedicato a quella che viene definita la “nuova frontiera della colonizzazione” in Africa- dove 24 milioni di ettari di terra sono vittime del land grabbing- e in questo caso specifico nella Repubblica Democratica del Congo.

 

Poco più di venti minuti -scritti e montati da Danilo Licciardello e Simone Ciani- per raccontare come 500mila ettari di terreno, nel solo Congo, possano essere affittati o comprati da poche, e molto influenti, multinazionali a danno dei moltissimi, e ben poco influenti, contadini delle comunità risultate indigeste alle mire di profitto e di sviluppo delle prime, e per questo sradicate dai propri territori. Un’amara fotografia di un Paese dove, racconta tra gli intervistati anche Mambou Aimee Gnali, presidentessa della corporazione “nativi del Koilou”, “vi è un conflitto tra le leggi sulle proprietà fondiarie che vogliono imporci (a livello governativo) e le nostre tradizioni, perché da noi la terra non si vende”.

“Non è facendo venire investitori stranieri o nazionali, che prendono tutta la terra, che porterà ad un miglioramento dell’accesso all’alimentazione”, ribadisce Ibrahim Coulibaly, presidente di Cnop-Mali. Eppure, in soli dieci anni -a livello mondiale- le compravendite di terre hanno riguardato una superficie estesa sette volte l’Italia. A significare che il fenomeno non conosce crisi. Un andamento di cui “Terra bruciata” mostra le ricadute, e le proposte alternative per porvi un freno.