In città stanno spuntando come funghi - velenosi - ristoranti dove servono barche e ponti di pesce a meno di venti euro, locali in cui mangi quanta pizza vuoi a meno di dieci e posti fiabeschi in cui servono pasti felici a meno di cinque.

Le code per cenare e pranzare in questi locali sono infinite e le vecchie trattorie, la vecchia polenta, non sono più di moda e forse sono diventate troppo cara.
Ricordo mia madre quando diceva: "Domani andiamo a mangiare PESCE!". Pesce, quella pietanza straordinaria che al Nord è difficile da trovare. Nella mia mente di bambina si creava un'immagine fantastica e argentata: andare a mangiare pesce era qualcosa che succedeva una volta ogni morte, o meglio, cambio di Papa. Non parlo di cinquanta anni fa, soltanto di cinque. Che cosa sta accadendo? Perché ora posso mangiare quanto pesce voglio, per quante volte voglio, a meno di venti euro? La risposta è facile: l'alimentazione sta cambiando ed è la crisi economia che ce lo impone. I ristoranti in cui si mangiavano prodotti tipici chiudono perché i prezzi dei beni alimentari e agricoli sono troppo alti.
C'è anche quella fetta di popolazione che non avrà la fortuna o sfortuna di provare queste strane pietanze perché la crisi ha trascinato centinaia di italiani in fila alle mense dei poveri. Italiani scivolati nella miseria quasi senza accorgersene, che si trovano a raccontare timidamente la propria storia ad altri connazionali.

La crisi non è solo per gli italiani affamati che hanno perso il lavoro, né per gli studenti che tutti i giorni inoltrano migliaia di curriculum. Il problema è a livello mondiale e fino a che la crisi non cesserà, la fame nel mondo non potrà che peggiorare. Sì, perché l'Europa, impaurita dalla crisi, ha tagliato il cinque per cento dei fondi per gli aiuti umanitari. Questa scelta vergognosa, oltre a dimostrare il fatto di non aver capito cosa sia il progresso comune, mostra un' Europa fragile, che per una crisi, pur drammatica che sia, diventa insensibile verso popoli che vivono una crisi cronica.
Cosa ci rimane da fare? Ricordare i bei tempi quando gli italiani andavano al ristorante a mangiare brasato raccontandosi storie di vita quotidiana?
Le multinazionali arrivano "just in time" con la soluzione ad hoc: mangi male, fino a scoppiare e paghi meno. Noi giovani siamo i primi a essere risucchiati in questo vortice perché non abbiamo un euro in tasca; il risultato? È da vedere alle fermate dei bus: ragazzi sovrappeso abituati a mangiare cibi ipercalorici dal sapore geneticamente modificato. Non è più solo il terzo mondo che ha bisogno di una mano, ora anche noi, inventori della dieta più sana e famosa al mondo, ne abbiamo bisogno. Cosa fare quindi?

Qualche tempo fa ho notato che diversi comuni dell’Italia settentrionale affittano, per pochi soldi, spazi verdi dove è possibile coltivare qualche frutto. Certo: il lavoro serale per arrotondare lo stipendio, la famiglia e il pesce rosso non permettono al singolo di trovare il tempo per zappare e annaffiare i pomodori ma, cari Italiani, la settimana è formata da sette giorni. Sì, perché nel 2013 il settimo giorno Dio non si riposò.